Parrocchia di Villa Pitignano

Storia di Villa Pitignano

Scorcio di Villa Pitignano dall'alto

Scorcio di Villa Pitignano dall’alto

Il famoso erudito perugino Annibale Mariotti (1738-1801), nel suo manoscritto “Thesaurus Inscriptionum“, sostiene l’ipotesi secondo cui Villa Pitignano vanterebbe origini romane: il nome deriverebbe da “Petinius”, un console romano, probabilmente di origini calabresi, che per ragioni militari o politiche dell’epoca si era insediato in questo luogo, dove aveva finito per stabilirsi definitivamente acquistando una villa e alcuni terreni.
La provenienza romana è avvalorata dal ritrovamento, nei secoli scorsi, di alcuni reperti lapidei e metallici, tra cui una rara “tessera paganica” della quale viene data notizia nel 1872 dal “Giornale di erudizione artistica”, nella cui iscrizione si fa un chiaro riferimento al toponimo “Paetiniano”.
Dallo stesso articolo apprendiamo che, all’epoca, erano ancora visibili nella breve spianata dietro la chiesa alcuni grandi massi di calcestruzzo, che per tradizione orale tramandata dai paesani si riteneva fossero i resti dei bagni romani.
Questi resti oggi non sono più visibili, ma è noto che don Giovanni Picchi (parroco dal 1923 al 1977) avrebbe desiderato eseguire degli scavi, convinto dell’esistenza di questi “bagni”, scavi mai eseguiti per l’indisponibilità dei proprietari.


Storia della Parrocchia di S.Maria Assunta

Chiesa di Villa Pitignano

Chiesa di Villa Pitignano

Dalla rassegna dei castelli e delle ville del territorio perugino risalente all’anno 1380 veniamo a sapere che la parrocchia di “Sancte Marie Petegnani” faceva parte del contado del rione di Porta Sole. Fin da tempi assai remoti, questa chiesa dipendeva dall’abbazia benedettina di S. Pietro in Perugia, alla quale fu confermata sia da papa Lucio II nel 1143 che dal Barbarossa con un diploma del 1163. Lo storico Ascenso Riccieri (1878-1938) riferisce che nel 1331, fra i monaci non dimoranti in abbazia radunati per fare atto di obbedienza al nuovo abate Ugolino Vibi, c’era un dompnus Grigiolus Ciccoli prior sancte marie de pitignano. Come tutte le altre chiese soggette al monastero, anche questa gli versava annualmente un tributo, che nel 1387 ammontava ad una corba di grano. Il rapporto con i benedettini di S. Pietro si esaurì per volere di papa Leone X che, con un breve pontificio confermato da Clemente VII nel 1523, unì la parrocchia di S. Maria di Pitignano al Capitolo della cattedrale di S. Lorenzo.
La chiesa parrocchiale ed il campanile furono radicalmente ristrutturati negli anni 1864-65. Nei primi anni del Duemila, sia l’edificio sacro con i suoi annessi che il nucleo abitato più antico sono stati sottoposti ad un’attenta e scrupolosa opera di consolidamento e recupero, restituendo l’originaria bellezza a tutto il centro storico.


L’organo ottocentesco
E’ noto come le chiese di campagna, le vecchie sagrestie, i palazzi padronali delle più sperdute località della nostra regione siano un autentico scrigno di opere d’arte, spesso dimenticate e ricoperte di ragnatele. Era questo il caso della chiesa parrocchiale di Villa Pitignano che, quasi nell’indifferenza generale, conteneva al suo interno un magnifico organo ottocentesco, senza più canne il cui metallo, rifuso nel secondo dopoguerra, era servito per fare i pallini delle cartucce dei fucili da caccia. Ma, per fortuna, quella dell’organo di Villa Pitignano è la classica storia a lieto fine perché, grazie alla buona volontà di tanti paesani e ai contributi della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, è stato restaurato e restituito alla comunità parrocchiale nell’aprile 2005. L’opera di ripristino è stata svolta dall’esperto restauratore, nonché valente musicista, Eugenio Becchetti che è riuscito a riportare alla luce le straordinarie, e ormai dimenticate, qualità di questo strumento. Costruito nel lontano 1827 dal rinomato organaro perugino Adamo Rossi, esso comprende ben 484 canne di piombo, 24 in legno, un pannello di quercia lungo 60 centimetri, un’elegante mostra avorio intarsiata di azzurro e i tastI in legno di bosso, tutti rifiniti al tornietto e rivestiti da una lamina di osso di bue.


La chiesa di S.Clemente

Chiesa di S.Clemente

Chiesa di S.Clemente

Oltre alla chiesa parrocchiale intitolata a S. Maria Assunta e a quella, non più esistente di S. Croce, Villa Pitignano poteva vantare una terza chiesa, intitolata a S. Clemente. Si tratta della chiesa, recentemente restaurata, annessa alla villa Simonetti (oggi Relais S. Clemente) e per questo indicata nel catasto gregoriano come “positam in ripa fluminis”, cioè posta in riva al fiume Tevere. Anch’essa dipendente dal monastero di S. Pietro, era questa una cosiddetta chiesa “semplice”, cioè priva di una sua parrocchia ed affidata ad un sacerdote dell’ordine benedettino. Fu visitata dal vescovo di Perugia Filippo Amadei in occasione della visita pastorale del 1763. Sorge sulla riva sinistra del Tevere in una località antistante a Villa Pitignano e denominata “Passo dell’acqua” per l’adiacenza ad un antico guado del fiume; l’odierno ponte dell’acquedotto nonché attraversamento pedonale fu realizzato a metà degli anni Trenta in occasione della realizzazione dell’acquedotto che dalla sorgente Scirca, presso Costacciaro, conduce l’acqua a Perugia. Il grande edificio a forma di L, già di proprietà dei conti Cesarei ed oggi della famiglia Simonetti, fu costruito probabilmente su strutture preesistenti preposte al controllo del guado fluviale.


La chiesa di S.Croce

Ruderi della Chiesa di S.Croce

Ruderi della Chiesa di S.Croce

“Quella fu già ricca chiesa, dipendente dalla Pieve S. Sebastiano, e nella seconda metà del XV secolo ridotta a commenda. La devota cappelletta che ne serba il titolo, e presso cui appaiono le rovine, non so se di fortilizio o di un monastero, non fu mai onorata dalla visita di un archeologo; e pure ne metteva il conto, trovandosi incastrata nel fianco volto a mezzogiorno una lapide, che io non mi perito appellare la regina delle iscrizioni religiose medioevali perugine”. Così lo storico e paleografo Adamo Rossi (1821-1891) descriveva la chiesetta di Santa Croce in Pitignano, che si ergeva sulla sommità del colle su cui è posto il nucleo più antico dell’abitato di Villa Pitignano. Questa cappella rurale faceva parte del contado del rione di Porta S. Angelo, mentre il sottostante paese dipendeva dal rione di Porta Sole. La lapide è ormai andata persa ma il suo contenuto è noto, avendone il Rossi riportato integralmente il testo; da esso si evince che nell’anno 1295 era stato eseguito il restauro della cappella “viventi Papa Celestino V, che rinunziò prima del tempo di sua spontanea volontà, e Papa Bonifacio VIII che tenne con sé per forza il pontificato, e Celestino come prigioniero”. Successivamente, la chiesetta passò alle dipendenze del Capitolo di San Lorenzo. Nella visita pastorale del 1820, il vescovo Carlo Filesio Cittadini la trovò malandata come le case vicine, ma nel 1832 l’edificio, benché in condizioni non buone, era ancora in piedi comparendo in una formella votiva dipinta quell’anno ed oggi conservata nella chiesa parrocchiale. Col tempo la chiesetta, divenuta fatiscente, fu abbandonata e nel 1890, nei suoi pressi, furono tumulati i corpi dei morti per colera, malattia che aveva colpito il paese. Nel 1937, a spese della famiglia Palazzetti, fu completamente restaurata e il 6 maggio, giorno dell’Ascensione, vi si celebrò di nuovo una solenne messa. Nelle drammatiche giornate del passaggio del fronte (dal 22 al 28 giugno 1944) l’edificio, da cui si domina la valle del Tevere, fu occupato dall’esercito tedesco che vi collocò una postazione di artiglieria; da lì veniva martellata la sottostante via Eugubina nell’intento di rallentare l’avanzata angloamericana. Ciò provocò la risposta dell’artiglieria alleata, posizionata nei pressi di Pieve San Sebastiano, che distrusse completamente la cappella e gli edifici rurali circostanti. Da allora i ruderi di S. Croce non sono più stati soggetti a restauro.


La chiusa sul Tevere

Chiusa sul Tevere

Chiusa sul Tevere

In epoca medievale vi fu chi, con visione lungimirante, propose di edificare un ponte che collegasse Villa Pitignano con l’antistante Bosco (allora denominato Bosco di Bacco e già a quei tempi importante snodo viario). Il ponte sarebbe dovuto sorgere nell’area fluviale conosciuta come località Rivoltola (dal latino “rivoltula”, cioè curva), il cui omonimo podere fu per secoli proprietà delle monache di S. Maria Assunta di Monteluce, ma non se ne fece niente per gli ingenti costi. In quello stesso luogo, in alternativa al ponte, fu realizzato un molino ad acqua con annessa chiusa, che acquisì l’appellativo, ancora oggi in uso, di “chiusa di Lippi” dal nome di Nuccio Lippi, fiduciario incaricato di amministrare i beni del monastero di Monteluce. Fino a tutti gli anni Settanta del secolo scorso, la chiusa e il suo ampio invaso, contornato da una flora rigogliosa e verdeggiante, costituivano un’autentica attrazione balneare per le popolazioni del luogo, e generazioni di perugini vi hanno imparato a nuotare.